mercoledì 27 febbraio 2008

aaah, la Svervegia!!!

Negli ultimi tempi ho irriso brutalmente lo stato finlandese con modi che di certo non si addicono ad un ospite. Siccome tendo al rimorso (ho già evitato un altro post della serie), voglio scrivere qualche riga in un certo modo riparatoria.
Nella mentalità comune paesi come Svezia e Finlandia (in minor misura Norvegia e Danimarca) vengono percepiti come socialdemocrazie altamente efficienti. Ora, tenendo come punto fermo che un sistema socialista tenderà per definizione all'inefficienza, e che lo stesso paese in un regime liberista se la passerebbe meglio, bisogna riconoscere che questa fama non è del tutto immeritata.
I servizi pubblici in questi paesi funzionano bene rispetto alla media, le tasse sono alte come è varia l'offerta di beni forniti dallo stato. L'assistenza non viene negata a nessuno che si trova in difficoltà e le categorie che non producono reddito godono di molti vantaggi (gli studenti hanno ad esempio la casa quasi gratis, anche se i loro genitori vivono nella stessa città dove essi studiano).
Perché questo accade in Svezia ed in Finlandia mentre fallisce nei paesi che tentano di imitarle? Perché il socialismo richiede due caratteristiche: alto livello di inquadramento sociale (nel senso che si rispetta le regole) e basso grado di diseguaglianza sociale. In particolare per il primo caso si richiede un raggio di azione statale limitato a comunità relativamente piccole (la Svezia ha pochi abitanti in meno della Lombardia, La Finlandia pochi di più del Veneto). Si tratta di un paradosso: la socialdemocrazia non solo fallisce nel perseguire i suoi due principali obbiettivi: istillare nei cittadini le virtù civiche ed abbattere le differenze economiche, ma li richiede come prerequisiti.



Questa tabella mette a confronto la graduatoria economica OCSE di Svezia ed Irlanda, il paese che negli ultimi anni ha adottato politiche più liberali in economia. La lezione da trarre, a mio modesto avviso, è che nemmeno in paesi come quelli Scandinavi un alto grado di interventismo statale è alla lunga tollerabile. Tuttavia c'è un altro appunto da fare: proprio negli anni '90 la Svezia ha visto un alto afflusso di immigrati, provenienti dalle zone più povere del mondo. Questo potrebbe aver acuito il conflitto di classe tra i tax payers e i tax consumer, prima celato. Insomma, un'iniezione di free riders in grado da mettere in crisi la qualità dei servizi sociali. Questo spiegherebbe anche perché la Finlandia (stato storicamente più centrista e relativamente più liberale) non sembra aver perduto colpi negli ultimi anni: nonostante la politica della frontiera aperta a tutti i costi e l'estrema tolleranza, la percentuale di immigrati è ancora molto bassa.
Torniamo a noi, che viviamo in uno stato altamente diseguale (geograficamente ma non solo) con una popolazione di dieci volte superiore a quella finlandese, e con la fama meritata di essere pieni di furbi e furbetti con poco senso delle regole (a volte non è necessariamente un male). E' ovvio che con queste premesse coloro i quali indicano come modello da raggiungere "una moderna socialdemocrazia europea", come ad esempio Valter Veltroni, vanno denunciati ed boicottati.
Anche perché non è che siamo poi così distanti dal modello svedese, alla luce degli svantaggi. La pressione fiscale diretta in Svezia è all'incirca al 50%, in Finlandia il 45%, l'Italia è al 44%. Dovremmo ormai esserci, che dite?
Se si considera la classifica delle libertà economiche, che oltre il parametro della pressione fiscale valuta la libertà d'impresa e l'ostilità burocratica, allora proprio non c'è gioco: la Finlandia è 16°, la Svezia 17° (considerando le recenti riforme) e l'Italia... 64°. Si consideri che i primi cinque posti sono occupati da Honk Kong, Singapore, Irlanda, Australia ed Usa nell'ordine, così tanto per tastare il metro.
Morale della favola: i socialisti indicano come modello storiche roccaforti e poi ci si accorge che siamo più socialisti di loro!

Lettura consigliata: Stephen Karlsson su mises.org.

martedì 26 febbraio 2008

La pulce nell'orecchio

Molto pochi ascolti nuovi, ultimamente, ma molte piacevoli riscoperte. Tra queste primeggia i Candidate, che l'anno scorso hanno edito un album davvero originale, piacevole e anche immediato. Una sorta di pop-folk a cappella, cosa che amo particolarmente anche se la battuta è scontata. I suoni sono molto agresti e si respire, nonostante la britinnicità, un'arietta dixieland.
Il loro myspace.




La scoperta del mese è un altro album facilino, rispetto agli standard. Siamo nell'ambito di un pop che se la tira da indie, o di un'indie che scivola verso il pop, ma il risultato è notevole. Il gruppo si chiama The Dø, la o sbarrata fa letteralmente diventare matti a cercarli con google. Si tratta di una coppia, lui è francese (...), lei finlandese. Tanto per confondere le idee segnalo questo pezzo, che è l'unico veramente diverso nell'album. Unissasi laulet è il titolo ed anche l'unica canzone con un testo in finlandese. Una lingua bellissima e meravigliosa da cantare, peccato che la maggior parte dei Suomi vadano matti per l'inglese, sarà che si abbina bene al metal.

Poi questo mese sono usciti tre lavori italiani che vale la pena ascoltare (di solito da esterofilo, o meglio, da italofobo, li tendo ad evitare. I primi sono i Baustelle, il cui Amen è davvero curato. La prova canora è buona, l'arraggiamento è meglio, i testi... Beh, le liriche non sono male se non fossero davvero pregne di un anticapitalismo di maniera, a dir poco odioso. Però pezzi come Colombo, Il liberismo ha i giorni contati (sic!) e Antropophagus (che ricorda un certo de André) prendono davvero.



Ancora più comunisti sono gli Offlaga Disco Pax, band underground che qualche anno fa scaldarono la scena con il loro Socialismo Tascabile. Più estremi, ma meno odiosi, almeno giocano alla scoperto, il loro bolscevismo è talmente antistorico ed improbabile da tingersi di sfumature pop, come i murales di propaganda maoista. Bachelite non mi dispiace davvero e supera in tutto e per tutti il precedente lavoro. Collina continua a non cantare (recita, per chi non lo sapesse) ma l'abbinamento tra testi e basi è più riuscito che mai ed è spesso solcato da colpi di teatro. Si segnala un implemento dell'ironia (dove ho messo la golf?), di disillusione (Cioccolato I.A.C.P, dove peraltro viene svelato il mistero del toblerone) e la solita dose di rimpianto (tutto il resto, specie Lungimiranza). Per dire quanto siano belli i sottofondi, finalmente suonati con strumenti veri, dirò che ricordano gli Explosion in the Sky.


Il terzo è del mio amore adolescienziale, Elio e le storie tese. E proprio per questo mi spiace commentare il disco con cui hanno toccato il fondo: un'ora e venti di citazione già sentite, cabaret che non mi fanno ridere, finzioni da operetta scontate. L'unica che vale la pena citare è Parco Sempione, per il bel video e il messaggio.

venerdì 22 febbraio 2008

Kulta e Sampo

Che significa quest'immagine, oltre al fatto che non fare foto? Semplicemente che anche in terra di Finlandia, solitamente ostile ai temi libertari, c'è qualcuno che prende sul serio il caso del gold standard, noto feticcio misesiano. Questo magazine, sostanzialmente un veicolo pubblicitario per un'agenzia che vende oro, titola a tutta pagina: "per i prossimi cinque anni meglio investire in oro" e sotto "L'economia è per natura ciclica. Che significa?" in cui viene citato, però, solo Kondratiev (mi piacerebbe sapere cosa qualche austriaco pensa di questo signore).
A lato c'è un spalla che ho decifrato senza l'ausilio del vocabolario (piccola soddisfazione) "Iperinflazione mondiale: cosa ci insegna la storia dall'inflazione dell'impero romano (218 a.C.) a quella dello Zimbabwe (2007)?". Già, che ci insegna?



Questa immagine, invece, fa parte della serie di illustrazioni di Akseli Gallen-Kallela per il Kalevala, l'epica nazionale finlandese. Väinämöinen, il bardo-sciamano difende il Sampo, l'artefatto forgiato fabbro Ilmarinen, dall'attacco dell'arpia. Il Sampo non si vede (o forse è quel trabiccolo in fondo a destra) ed è parte del gioco, perché nessuno ha mai capito cosa fosse: forse una bussola, forse un'arma, di certo qualcosa in grado di portare un'immensa fortuna (economica). Nel Kalevala, compilato dallo studioso, fisico e poeta Elias Lönnrot dopo aver raccolto frammenti orali in Carelia, viene descritto, senza entrare nei particolari, come un "mulino dal coperto variopinto", un affare che "macinando" l'aria produceva farina, sale e oro in abbondanza. Ora Sampo è il nome di una banca finlandese. Il dubbio viene da sé: qualcuno l'ha infine trovato davvero?

Pubblicità Progresso: Colgo l'occasione per segnalare il nuovo, promettente blog di una vecchia conoscenza.

mercoledì 20 febbraio 2008

Nell'anniversario.


Alla memoria di Andreas Hofer, combattente per un libero Tirolo, messo a morte dal tiranno giacobino, deriso da coloro che hanno scritto la storia, dimenticato dai suoi figli. Riposi da uomo libero.

"Ei fu certamente una poderosa fiaccola"

Generale Von Clausewitz

Per saperne di più:
Wikipedia in Italiano
Wikipedia in Tedesco
Questo Trentino

lunedì 18 febbraio 2008

Kosovo: the day after

Affronterò la questione dell'indipendenza kosovara in maniera un po' atipica, partendo dalle reazioni che essa ha suscitato.
Banalmente le reazioni a questo evento si possono ridurre a due: quelle positive e quelle negative.
Su quelle positive non c'è molto da dire: blogger, forumisti, politici e giornalisti (pochissimi) si sono detti lieti per l'applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli. Questa reazione è preponderante nel mondo moderato e liberale.
Quelle negative, decisamente più numerose, si possono dividere in tre categorie:
a) Non esiste nessuna cosa come autodeterminazione e diritto alla secessione, è stato un evento inutile e/o dannoso perché complica lo scenario internazionale.
b) Benché si riconosca il diritto all'autodeterminazione, in questo caso specifico è controproducente perché porterà alla nascita di uno Stato meno rispettoso delle minoranze retto da una cricca criminale (o simili)
c) Il Kosovo è una terra serba e cristiana popolata a tradimento, con l'aiuto di potenze straniere, dagli albanesi, si tratta di un furto e non può avere alcun diritto all'indipendenza.

La versione a) mi sembra quella più propugnata dalla stampa e dagli intellettuali di professione. E' il sostrato dell'editoriale di Magris, e di molti altri interventi come quello di Merek apparso su La Stampa di oggi. Certo nessuno di questi afferma candidamente di essere contrari ai principi di autodeterminazione e democrazia, ma questi ultimi devono essere subordinati all'interesse globale, a quanto suona ridicolo il nome della nuova nazione, a quello che pensa l'Onu: in poche parole, a quello che passa per la loro testa.
La versione b) è molto popolare tra chi tenta un'analisi un po' più approfondita ed è stata fatta propria anche da molte voci liberali. Sicuramente il governo dell'Uck non sarà un granché anche se è possibile che non ci saranno ulteriori violenze. Ma se l'indipendenza è un diritto lo deve essere sempre, non a turni alterni. La cosa perde un po' di credibilità detta dai convinti sostenitori della democrazia, quelli che si sono emozionati con l'immagine della donna con l'hijab e le dite d'inchiostro sporche, perché il governo kosovaro è stato eletto democraticamente e alle regole democratiche dovrà sottostare. Il fatto che sia composto da delinquenti è un tratto comune a molti altri paesi, qui solo più marcato.
L'opinione c) è molto sostenuta nei circuiti di destra e antimusulmani in genere. Sarebbe un forte argomento se avessi la certezza che fosse vero. Ma anche se non lo fosse, che si fa? Un'altra pulizia etnica? Oppure si resta uniti, così "l'invasione" si propagherà anche all'interno della Serbia?
Capisco che gli albanesi, per diverse ragioni, non stiano simpaticissimi, ma questo non rende un processo di indipendenza "diverso".
Dall'altra parte, giova ricordare, abbiamo i serbi e i russi, i cui "dirigenti" credono di avere il diritto di fare il buono ed il cattivo tempo sulla terra degli altri.
Il mio parere è che l'indipendenza kosovara sia una buona notizia, specie con l'aria che tira, ma che non vada presa come esempio per gli altri movimenti indipendentisti. Purtroppo la pessima reputazione dei kosovare rischia di screditarli nel futuro prossimo venturo.
A breve, però toccherà a popoli intimamente europei e occidentali: catalani, scozzesi, fiamminghi e valloni. Inutile dire che costoro si sogneranno l'appoggio dell'Unione Europea e forse persino degli Stati Uniti. Questi ultimi avevano un conto da regolare con la Serbia, considerata, forse non a torto, quasi uno stato canaglia e pertanto la solidarietà al Kosovo sa tanto di regolamento di conti, senza contare la possibilità di testare il nuovo esercito europea nuovo di zecca chiavi in mano. Un movimento di popolo che si metta contro i giganti europei (come ad esempio la Spagna, che annusando l'aria non intende riconoscere l'indipendenza), invece, non avrà il beneplacito di Strasburgo, anzi ne sarà ferociemente osteggiato.
Quanto agli Stati Uniti, sarà l'influenza di Ron Paul, ma dire che hanno perso una buona occasione di rimanere neutrali. Non vorrei che fra qualche anno saltasse fuori che in Kosovo ci sono campi di addestramento di Al Qaida.

Anche: Invisigoth, Phastidio, Marco Cavallotti

Civiltà fiscale

La settimana scorsa ho fatto un piccolo lavoretto per l'università, che gentilmente mi ha dato in cambio 30 € per un'ora di impegno scarso.
Mi hanno però avvisato che se non sono in possesso di un carta magica (la verokortti, carta delle tasse) ne dovranno detrarre il 60% per darlo allo Stato finlandese. Ora, qual lavoro l'avrei fatto pure gratis, ma regalare 20€ mi sembra uno spreco, così decido di procurarmi questa verokortti. Recarmi all'ufficio e fare la fila mi è costato già più del tempo dello stesso lavoro, ma quel che davvero mi secca è che non è bastata un'ora e un quarto di fila fatta oggi. Infatti al Verotoimisto (ufficio delle tasse) mi hanno detto che devo ottenere prima l'Henkilönumero, ovvero il numero di sicurezza sociale (cioè la roba che espleta la stessa funzione del codice fiscale italiano e del tatuaggio di Auschwitz). Sono dunque andato in un altro ufficio, dove mi hanno rincoglionito a furia di moduli e mi hanno pregato, dal momento che ho fatto richiesta per questo numero, di avvisarli quando lascerò la Finlandia.
Prima di poter vedere i miei trenta euri dovrò ritornare all'ufficio dell'Henkilönumero per consegnare il documento che prova che mi sono registrato alla stazione di polizia (cosetta che all'epoca costò 60€, e che non esiste in nessun altro paese UE) quindi tornare al verotoimisto, poi all'ufficio che mi vorrebbe pagare. In tutto altre due orette dovrò spenderle.
Certo, sono in un paese civile, tutti sono cordiali e ci si mette anche poco ad aspettare. In Italia, se verrà introdotto secondo gli auspici di Veltroni, il meraviglioso welfare state nordico, a quest'ora sarei probabilmente barricato in un ufficio pubblico e starei contrattando con la polizia il rilascio di qualche ostaggio. Ma per fortuna non è così e là mi avrebbero pagato in nero, as usual.

P.S. Mi rendo conto che sto criticando lo stesso sistema che mi permette di pagare il pasto in mensa il ridicolo prezzo di 2.35 € (kaks-kolme-viiis) . Quindi voglio qui pubblicamente ringraziare il contribuente finlandese che ogni giorno lavora affinché io possa mangiare al di sotto del prezzo di mercato, che potrei anche permettermi. Io non darò mai nulla a questo paese e, come ringraziamento, ne sputtano le avanzate istituzioni sul mio sito web.

domenica 17 febbraio 2008

L'Inno veneto



Na bandiera, na léngoa, na storia
Le ne dà siviltà, forsa e gloria (e gloria!)
E ’l futuro splendor le tien alto
Del gran pòpolo fiol de San Marco (San Marco!)

Na nasion, un cor solo, na vóxe
Cei e veci, toxati e tóxe
Che ’ntel cor i conserva ’l Leon
No i se ciama mai vinti,
I fa su i fondaminti
De un nóvo doman.
Ne dà lustro ’ntel móndo la nostra onestà
E la voja de far e de dare na man.
Fen fiorire la tera dai mónti al mar
Defendémo la paxe e la libartà

Tuti insieme co un solo cuor
Tuti insieme na sola Nasion
Rento el cor conservémo el Leon
No sarémo mai vinti,
Fon sù i fondaminti
De un nóvo doman.

Viva! Viva! Viva! Libartà!
Senpre! Senpre! Senpre! Libartà!


Par tèra, par mar: San Marco!

Fonte originale

Questo, dunque, l'inno. La prima critica che avanzo è ovvia: benché sia da premiare ogni iniziativa identitaria, non era una cosa di cui si sentiva l'urgenza. Come ricorda lo stesso testo, i simboli, per unire, devono essere condivisi, e condivisi sono la bandiera, la lingua (un po' meno) e la storia (per definizione). E' molto difficile che quest'inno, che a seguire gli ultimi video del PNV sembra che ci sia sempre stato, possa esserne all'altezza, ma non è tanto colpa dell'inno in sé, quanto del fatto che qualsiasi tentatativo, ora come ora è un'introduzione astorica.
Dirò che la musica (un riarrangiamento libero della Juditha Triumphans di Vivaldi, stando a Raixe Venete) mi piace molto e suona tipicamente veneta. Purtroppo non posso dire lo stesso del testo. Forse a causa di una naturale antipatia verso a tutte le poesiole nazionaliste, olistiche per definizioni: "il noi", "il popolo", "la terra", "la morte" (gli inni sono di norma tanatofili) sono cose che per natura rigetto. Non a caso i due che proprio non digerisco sono "la Marsigliese" e, ovviamente, il tremendo "Fratelli d'Italia". Più apprezzabili, anche se naive, quelli che si limitano a descrivere un paesaggio amato, come il bel Maamme finlandese anche se la mia preferenza assoluta va, in parziale contraddizione con quanto scritto sopra va all'Amhrán na bhFiann irlandese, ma come non si fa ad amare questi tizi armati che, giurando di essere liberi, vanno a cacciare il tiranno sassone?
La prima cosa che non mi piace del testo è dunque quel na nasion, un cor solo, na vóxe: una nazione ha molte voci e cuori, e mi sembra che la Serenissima, con la sua natura paleoconfederale lo sapesse benissimo. Due versi dopo c'è un altro incubo di vecchia data "i fondamenti di un nuovo domani". Ecco, io direi di evitare cose del genere: le magnifiche sorti e progressive le lasciamo ai Pepponi di varia caratura e pensiamo a vivere il presente nel modo meno miserabile che ci riesce.
Alcune cose sono semplicemente fuoriluogo, come quel quadretto familiare composto da cei (che non so che significhi), veci, toxati e toxe ed il distico autopromozionale Ne dà lustro ’ntel móndo la nostra onestà / E la voja de far e de dare na man. Capisco che ci si voglia smarcare dall'immagine dell'italiano medio, ma non dobbiamo vendere nessun prodotto all'estero, soltanto scrivere qualcosa che parli dei veneti e del veneto (senza contare che una persona davvero onesta lo dimostra senza scriverlo in giro. Lo stesso dicasi per la terra che fiorisce, la gente ci si mette d'impegno, è vero, ma abbiamo uno dei climi più fortunati al mondo.
Il verso che apprezzo più di tutti è "defendemo la paxe e la libertà", i due valori su cui nominalmente nacque Venezia.
Ultima pecca sembra essere la metrica, invero assai poco azzeccata, alcuni versi sono decisamente trascinati.
Il tizio che dice "par téra e par mar: San Marco" è favoloso.

Ecco, a questo punto ho detto la mia, sono pronto per le sacrosante critiche che spettano a chi è sempre in prima linea a lamentarsi, e poi non fa nulla.

sabato 16 febbraio 2008

Mi e la me lengoa

Mi si chiede di commentare l'inno veneto, realizzato poco tempo fa da persone gravitanti intorno a Raixe Venete (associazione a cui pure aderisco). Ma siccome sono palloso, è sabato sera, sono tristemente a casa ed ho una festa metal al piano di sopra, prenderò il discorso alla lontana e parlerò della lingua veneta.
La lengoa veneta è sicuramente tale, ne è prova la sterminata autonomia lessicale e le caratteristiche peculiari (quale altro "dialetto" della penisola ha una forma interrogativa, per dirne una?).
La lengoa è ovviamente anche la mia lingua madre, penso esclusivamente e totalmente in veneto, amo parlarlo con i miei cari e, credo per lo stesso motivo, sono in difficoltà a parlarlo con gli sconosciuti. Ugualmente, mi risulta impossibile scriverlo. Tempo fa progettavo un blog che fosse una rassegna stampa politica e culturale sul Veneto. Ho tentato di scrivere un paio di post di presentazione in lengoa, ma ho lasciato stare (a proposito, è mia intenzione avviarlo comunque fra qualche mese, se qualcuno è interessato a collaborare mi contatti).
Il mio problema, da persona più o meno attenta ai problemi linguistici, è la mancanza di normatività. Lo so che per un sostenitore dell'anarchismo metodologico è un paradosso ma non ci posso fare niente. Il veneto è indubbiamente lo stesso idioma dal Garda alla Laguna (nonostante le malelingue) e come tale ha molte variazioni. Quali scegliere? Ragioni di prestigio punterebbero sul dialetto della Dominante (Venexia), ma il dialetto (qui è il caso di dirlo) più parlato ed "intermedio" è quello del Veneto centrale, nelle provincie di Padova, Vicenza e, casualmente, Rovigo. Ma quello che io parlo è la sottovariante pedemontana di questo dialetto: la differenza non è da poco: la "l" è più marcatamente pronunciata (anche se evanescente), alcune forme verbali sono diverse (come il participio tronco invece che in -sto -> venuto = vegnù anzichè vegnesto) e i puristi vorrebero la "d" al posto di molte "s" o "x" (es. giallo = dàlo anziché xa£o).
Ma la cosa che mi più mi ha messo problemi è stato la trascrizione di alcune parole, specie le più italiane. La tentazione era quella di cambiare qualche vocale, ma sarebbe stato genuino o solo posing, ovvero voglia di prendere distanze dalla lingua foresta? E poi in quanti mi avrebbero capito? Quelli di Treviso avrebbero avuto da ridire?
Questo era solo per introdurre il primo problema dell'inno veneto di Raixe, la lingua. Ma a questo punto è chiaro che ho divagato, e dell'inno tornerò a parlare domani in uno specifico post.

martedì 12 febbraio 2008

Le nazioni violente.

Nel seguente post verranno maltrattate a dovere alcune delle più perniciose scempiaggini della modernità, in particolare: patria, popolo, risorgimento, stronzate mazziniane assortite e, naturalmente lo Stato. Se qualche avventore (magari fan di quelli che mi spammano nella mail stupidaggini liberal-socialiste) crede ancora a queste favole farà meglio a cambiare aria. E testa.

Nota: non ho trovato di meglio che riportare quasi tutto il testo. Per una lettura veloce, saltare alle conclusioni.

Il Corriere della Sera, nel suo infaticabile lavoro di formazione delle coscienze, ieri apriva con un editoriale del famigerato Claudio Magris.

LE NAZIONI VIOLENTE

Un grande e illuminato padre dell'idea di nazione, Giuseppe Mazzini, la concepiva come un'identità fraternamente solidale con le altre; la sua Giovine Italia non è pensabile senza la Giovine Europa in cui doveva armoniosamente inserirsi. Ogni nazione appariva, in questo disegno, non solo rispettosa, ma pure bisognosa delle altre, come lo è ogni voce in un coro, inconfondibile ma intonata in accordo con tutte le altre.
Un altro geniale fondatore dell'idea di nazione, Herder, amico di gioventù di Goethe, vedeva l'umanità come un grande albero, di cui le diverse nazioni erano elementi costitutivi, distinti ma organicamente connessi, come le foglie le radici la corteccia. [...]

In realtà, come dimostrerà in seguito lo stesso Magris, Mazzini ed Herder, rispettivamente ideologi dell'unificazione italiana e tedesca sono qui citati come geniali e illuminati banalmente perché fanno parte dei vincitori. Nel programma mazziniano, la cospirazione, l'assassinio, la sobillazione facevano la parte del leone. Ma non c'era un Magris all'epoca che lo accusasse di violenza.

La nazionalità non è un atavico e deterministico retaggio di sangue; è un dato culturale, un sentimento spontaneo di appartenenza; è ciò che uno sente di essere. L'identità non è un dato arcaico e immutabile, ma è sempre in divenire, afferma Roberto Toscano; appartiene al fare prima che all'essere, ha scritto Predrag Matvejevic.
Se volessimo determinare l'identità nazionale in base a criteri razziali e al Dna — in questo caso meno affidabile di un inno patriottico — ci perderemmo in una giungla di atomi etnici, in quel buio dell'origine che Nietzsche ci ha insegnato a considerare non già miticamente fascinoso, bensì insignificante [...]

Non si può non essere d'accordo con questa idea di nazione. Un'entità che si costituisce naturalmente sulla base della voglia di stare insieme dei singoli individue (un riconoscimento non necessariamente etnico, ma sempre culturale. Ma è andata così? E soprattutto era davvero questa l'idea di Mazzini?

Nella visione di Herder o di Mazzini, le nazioni dovevano essere concordi. Nella realtà le cose sono andate in modo opposto; la storia dell'idea di nazione [...] e l'affermazione del principio di nazionalità sono una serie di conflitti, oppressioni, rivendicazioni, deliri di superiorità culturale o razziale, lividi e vendicativi complessi di inferiorità, odi viscerali e fautori di violenze, sino alla strage e al genocidio. La nazione è divenuta nazionalismo ossia snazionalizzazione di altre [...]

L'ideale mazziniano era intrensicamente violento. Da una parte rappresentava un conato rivoluzionario contro lo status quo delle monarchie europee, un ordine certamente non giusto, dall'altro lato una sua prosecuzione in quanto miravi a "costruire" uno Stato nazionale facsimile della Francia, per contare di più nel mondo: in un certo senso l'anticamera del fascismo. Un buon esercizio per riflettere sarebbe quello di sostituire al soggetto "idea di nazione", la parola Stato.
Certo, poi, le nazioni (quelle che voleva gente come Mazzini e Herder) avrebbero cooperato, ma prima bisognava farla nascere. Sulla base di che cosa?

La violenza si scatena soprattutto quando si confondono due principi e due realtà distinte, la nazione e lo Stato. Talora essi possono di fatto quasi coincidere, come nel caso della Francia; talora sono nettamente distinti, come nel caso della Svizzera. Ma da nessuna parte sta scritto che cittadinanza e nazionalità debbano coincidere. Alcuni dei più grandi Stati della storia — non solo materialmente, anche culturalmente e politicamente — sono plurinazionali, dall'impero romano a quello absburgico e, oggi, agli Stati Uniti, mosaico di tante stirpi diverse.

Certo, da nessuna parte, tranne che negli scritti di Mazzini, quasi precursore del nazionalismo etnico, che considerava l'Italia come un'unica grande anima popolare, con tutte le fregnacce su Dio che ne seguivano, tanto che il suo principale bersaglio era quell'impero absburgico (così lo scrivono i professoroni come Magris) che è qui citato come esempio di Stato multiculturale. Magris poi dovrebbe provare ad andare in Svizzera e provare a spiegare a un tizio di Lugano che è di nazionalità italiana. La Svizzera è uno dei pochi casi di comunità sorta naturalmente in seguito ad un patto (foedus) tra persone di lingua e cultura differenti.

Anche gli Stati più compatti dal punto di vista nazionale comprendono minoranze. È impossibile — e sarebbe un' astrazione apportatrice di impoverimento — tracciare confini che separino nettamente le nazionalità.

Ma è possibile lasciare che la gente se ne vada da uno stato che non ritiene il suo. Si chiama secessione, e mi sembra che l'autore stia scrivendo per deligittimarla.

Essenziale, per la vita civile di un Paese, è la piena tutela delle minoranze, il loro diritto formale e la loro possibilità reale di sviluppare liberamente la propria lingua, la propria cultura, la propria nazionalità.

È essenziale alla vecchia strategia del dividi et timpera, di cui il Potere è bene a conoscienza, oltre che al mantenimento di una serie di istituti statali volti a questo compito (gli stessi che, nel tempo libero, inventano nuove minoranze a tavolino)

La delirante pretesa di fare di ogni nazionalità uno Stato — barbarico richiamo della foresta che sembrava esorcizzato dai processi di aggregazione e unificazione su basi federali — dilaga sempre più, minacciando nuove sciagure.

È molto più delirante pretendere di tenere tutti assieme uniti in fratellanza. Da questo sono derivate le "sciagure".
Non tocco il tasto dell'indipendenza del Kossovo, esempio che ritengo poco significativo e fuorviante, anche se è questo il casus belli di Magris.

Francesco Battistini ha illustrato l'effetto a catena che l'indipendenza del Kosovo può provocare: Abkhazia, Ossezia, fiamminghi e/o valloni, bretoni e via di seguito e Alberto Ronchey ha sottolineato il pericolo di nuovi, sanguinosi conflitti nell'ex Jugoslavia.

Ma non conflitti nell'ex Belgio, nell'ex URSS e nell'ex Francia (che nello stesso articolo, ricordo, Magris ha portato come esempio di Stato che coincide con la nazione, evidentemente i bretoni non sono daccordo).

Chi ha mai detto che ogni gruppo etnico deve costituire uno Stato, quale è il confine, la misura di un gruppo nazionale che voglia divenire uno Stato? I tremila queni, i duecentomila sorbi, gli ottocentoventidue cici? Non è il numero che conta; per quanto numericamente modesta, ogni comunità nazionale, ogni minoranza deve essere pienamente tutelata.

Anche il milioncino scarso di ceceni lo è? E soprattutto chi dice che non vengano tutelati nel nuovo Stato?

Ma non per questo è possibile che diventi uno Stato. Nei micro-stati, sorti per febbre identitaria e nazionalista, le minoranze, inevitabilmente esistenti al loro interno, sarebbero esposte a pesanti oppressioni; in un eventuale Stato basco i numerosi spagnoli viventi nel suo territorio sarebbero assai meno tutelati di quanto lo siano oggi i baschi in Spagna.

Qui Magris, con un bel processo alle intenzioni la fa abbondantemente fuori dal vaso. I baschi, persone civili brutalmente oppressi e repressi nella Spagna franchista e sottoposti ad un processo di spagnolizzazione mai arrestatasi, ringraziano.

Se si inizia a scindere ogni comunità nelle sue componenti — etniche, religiose, di qualsiasi genere — non si finisce più o si finisce per arrivare al singolo individuo, diverso da ogni altro.

Bingo! Dov'è il problema?

La corsa di ogni gruppo nazionale a Stato è tanto più grottesca oggi, in un'epoca nella quale la cosiddetta globalizzazione spinge tanti individui dai più diversi continenti in altri Paesi, creando situazioni in cui la fedeltà affettiva alle proprie origini — alla propria lingua, alle proprie tradizioni — può realizzarsi soltanto nell' integrazione nel nuovo Paese. Gli Stati Uniti o la Francia, il Paese per eccellenza della grande Nation, sono fortemente costituiti da cittadini provenienti da altre parti del mondo o da territori metropolitani di altra stirpe, che si sentono profondamente cittadini americani o francesi, consapevoli di preservare in tal modo la loro cultura molto meglio dei patetici separatismi.

Grottesco, in un mondo globalizzato è più il concetto dello Stato ottocentesco, più o meno come l'ha concepito Mazzini. Proprio perché come si diceva in alto ogni nazione ha bisogno dell'altra, la stessa idea di conflittualità che ha portato alla nascita dei Leviatani è superata. Gli immigrati equo e solidali sembra che preservino, più che la cultura -mantenuta a suon di consiglieri etnici e di cibo halal in mensa scolastica- lo stato sociale dal suo inevitabile fallimento.

La nazionalità è un valore caldo: lingua, consuetudini, canzoni, paesaggi, cibi. Lo Stato è un valore freddo: leggi, regole, sicurezza e assistenza sociale. Si amano i valori caldi, ci si commuove per una canzone natia, non per un articolo di un codice.

La differenza è che il secondo è imposto, la prima no.

Ma è quest'ultimo che permette a ognuno di cantare, commuovendosi, le sue canzoni.

Ma anche, a gentile richiesta, di vietarle.

Conclusione: il Magris, intelettuale sopravvalutato, ha confezionato un testo in cui gli argomenti latitano e i pochi sono in gran parte di natura persuasiva. L'accostamento del Kosovo (dove una maggioranza musulmana combatte, più che per l'indipendenza, per unirsi all'Albania) a realtà completamente occidentali come Paesi Baschi, Fiandre e Bretagna (aggiungo Scozia, Catalogna e altri focolai di casa nostra che sono ben lieto di fomentare) è quantomeno disonesto. In secondo luogo, l'esempio mazziniano, portato come antitesi (nazionalismo buono vs nazionalismo cattivo) è fallimentare in quanto l'unica differenza tra Mazzini e gli indipendentisti sopracitati è la scala e l'epoca su cui operano. L'aggravante è che Mazzini ammetteva francamente la necessità, da parte dello Stato nazionale, di limitare le identità (gli "egoismi") locali, perché esso doveva essere abbastanza forte e unito (un'unità artificiosa) da rivendicare un certo ruolo nel mondo. E' difficile che le forze secessioniste giungano a tanto, visto che si battono per entità nazionali più limitate e dal momento che vengono da una situazione di repressione.
Il bacino ideologico dell'articolo è insomma ben noto, superato e non riesce a demolire questa semplice osservazione dettata dal buon senso: che la gente ha il diritto di scegliere con chi vivere e da cosa, eventualmente, farsi governare.

La lettura consigliata a Magris e a tutti gli altri è questo classico di Rothbard: Nazioni per consenso.

domenica 10 febbraio 2008

Vuoto e tempo a perdere

Ogni tanto, quando vedo qualcosa di poco impegnativo, lo segnalo nel mio bruttissimo tumblr.

Lyapis Trubetskoy - Capital

sabato 9 febbraio 2008

Premiata osteria PdL

Mentre scrivevo ieri, il centrodestra ha optato per una svolta storica. Finora ne ho contate sedici, o suppergiù. Stavolta pare, sempre che baruffe non faranno cambiare idea al leader di turno, che FI e AN si presenteranno uniti sotto il simbolo nuovo di pacca (col sgargiante triculore) del Partito delle Libertà. Un partito unico, nato finalmente sotto gli auspici della base. Ovviamente ciò è avvenuto dopo un lungo dibattito interno ai partiti, sono stati sentiti tutti i coordinatori locali e la decisione è stata presa a maggioranza durante una convention. Sono state prese in considerazione le mozioni di minoranza e si è cercato un compromesso per mettere d'accordo le varie istanze di un movimento che conta su circa il 40% dei voti.
Questa era l'idea originaria, ma per motivi pratici è andata diversamente. Berlusconi stava leggendo la Repubblica al cesso e, realizzato che non poteva ignorare la sfida di Veltroni, ché magari salta fuori che quello ce l'ha più lungo, ha telefonato a Fini e -così cosà- l'accordo è stato raggiunto prima di tirare lo sciaquone, e ha fatto anche in tempo a contattare i giornalisti. Vuoi mettere soldi e tempo risparmiati?
Questo è stato un grande passo verso un bipartitismo su modello occidentale. Adesso, siamo come lammerega, abbiamo due grossi partiti moderni. Ma grazie a Dio, non abbiamo tutti quelle possibilità di controllo sui candidati -tipo primarie locali e sistema maggioritario- che hanno i cittadini d'oltreoceano. Con il calderolum si decide tutto fra quattro mura tra chi di dovere nelle segreterie di partito, poi il cittadino mette la crocetta. E, da adesso, non ci sarà più l'imbarazzo su quale coglione non votare, tanto sono tutti assieme appassionatamente. Compreso -ovviamente- lui.
E che dire del fatto che finalmente può dirsi concluso la politica delle minaccie? Non ci sarà più An che boicotta, l'Udc che esce dal governo perché c'è un unico partito che ha la maggioranza.
E difatti:
L'Udeur è interessato «al progetto Ppe» lanciato da Silvio Berlusconi con la lista unica, ma non è disposto a entrarvi a qualunque costo, bensì solo a determinate condizioni, altrimenti guarderà altrove. Lo ha chiarito Clemento Mastella nella sua relazione introduttiva al consiglio nazionale dell'Udeur. ...«Una volta finita la coalizione, ognuno è libero per nuove determinazioni. Ci intriga il progetto del Ppe, ma è un processo che ci deve vedere protagonisti, e che non intendiamo subire. Se qualcuno pensa, specie al nord, che possa nascere a prescindere da noi, faremo le Termopili perché dobbiamo difendere la nostra dignità [...] Ma al sud e in Campania provate a vincere senza di noi. Vedo che la Lega ha l'atteggiamento dell'asino di Buridano, e dice di no all'Udc o all'Udeur: allora provate a vincere senza di noi, così vincerà il Pd
Scommetto che l'insofferenza della Lega si risolverà con la solita cenetta ad Arcore.
Il commento lo lascio tutto al nuovo collaboratore di prestigio del blog, Ron Paul, che da oggi dirà la sua sulle nostre faccende domestiche.
"I think that the center right has lost his way. They are not supposed to support government spending and I wonder what they could do that with people like Mastella or Storace no more only in the same coalition but, now, in the same party! There is a large, growning movement in the country that stands for small government and that fights - you know- to stop the centralization of power, to low taxes and so on... and it actually has not any political representance in the parliament and no perspectives for the future. It can't go on for longer. Italian politicians, especially the ones which pretend to be fiscal conservatives, deserve to be punished."

venerdì 8 febbraio 2008

L'albergo delle libertà

Per svariati mesi mi sono trovato a prendere per il culo gli illusi che votano PD (o chi per esso) convinti di fare gli interessi della ggente. In realtà fanno gli interessi del gruppo Unicredit, delle Coop e della Goldman Sachs, e più marginalmente del pubblico impiego, ma questa è un'altra storia.
Oltre a ciò, li canzonavo, moderatamente, per Mastella, come fanno molti altri, del resto.
Poi a me piace Mastella, voglio dire, lo trovo utile. Svela, compiendoli alla luce del sole, i meccanismi che sostengono al potere gran parte dei politici, persino quelli "seeeeriii". Con la differenza, non da poco, che Mastella aiuta dei poveracci; la gente più in alto, "seeeriaaa", i banchieri.
Proprio per questa sua visibilità, talvolta arrogante, il guardiasigilli è diventato il simbolo del malaffare, dell'inciucismo, della Casta (pur non essendone ai vertici). Insomma di tutto quello che la politica è, e che, a sentire i seeriii, bisognerebbe evitare. È anche il simbolo del voltagabbanismo italiota: lo ricordiamo di là, poi di qua, poi di nuovo di là (e sempre nel "grande centro"). Così quando, ancora una volta, ha messo in crisi la sua maggioranza ho pensato che fosse davvero spacciato. Chi vuoi che se lo ripigli, ho pensato. Come se non bastasse, è odiato dal 99% degli italiani eccetto, per l'appunto, quell'1% che lo vota dietro congruo compenso.
Peccato che pochi istanti dopo la caduta del governo il senatore Guzzanti scrivesse:
"Dini sa che può tornare a casa nel centro destra, idem Mastella, noi siamo affettuosi e generosi, la politica non ha memoria, non conosce vendette, ha un suo tempo e ritmo e si deve soltanto pensare a dare agli italiani un governo che riprenda l’Italia che sta affondando, che cola a picco e la rimetta in linea di galleggiamento, la faccia ripartire."
La politica non avrà memoria, ma gli elettori? Si dimenticheranno di come Mastella ha ricattato le coalizioni che lo ospitavano? Di come ha fatto pesare i voti di pochi beneventani per diventare ministro della giustizia? Delle politiche clientelari? Del fatto che è divenuto il simbolo, a ragione, del parassitismo statale e meridionalista?.
Non solo, sembra che, con la sua solita umiltà, il senatore abbia già prenotato il ministero della giustizia in un futuro esecutivo, sostiene che gli è dovuto.
Giova ricordare agli elettori di centrodestra che, se domani verrà formalizzata l'adesione dell'Udeur alla "coalizione", essi contribuiranno ad eleggere Mastella. Si tratta di scegliere cosa si vuole veramente: se cambiare il sistema o soltanto i poltronari (non tutti in questo caso).

P.S. Dimenticavo: ora anche l'Udeur è "liberale e federalista". Il che la dice lunga su come siano messi liberalismo e federalismo in questo paese.

mercoledì 6 febbraio 2008

...e tre.

Via 2909 vengo a sapere della terza baggianata di seguito degli inglesi spusòni. Non ho voglia di cercare articoli più dettagliati perché mi sono cadute le balle. Il resto del post scrivetevelo da soli. Se qualcuno ha voglia si faccia vivo che l'aggiungo agli autori.

(ANSA) - LONDRA, 1 FEB - L'associazione Scout e' stata denunciata alla commissione pari opportunita' britannica per discriminazione nei confronti degli atei. La 'National Secular Society' e la 'Humanist Associaton' sono infatti furiose poiche' gli Scout si rifiutano di cancellare la frase 'fare il mio dovere al cospetto di Dio' dal loro motto. Stephan Peck, membro dell'associazione Scout, ha tagliato corto: 'E' fondamentale - ha detto - che i giovani Scout vengano aiutati a comprendere la loro spiritualita''.
Per non sprecare un post aggiungo anche l'ultima segnalazione di Stephen Gordon, perché gli USA, a volte non sono da meno.
Una nuova legge renderà impossibile servire i clienti obesi nei ristoranti del Mississipi.
It would allow health inspectors to revoke the licence of any restaurant that “repeatedly” feeds extremely overweight people, reports the Daily Telegraph.
Two-thirds of adult Mississippians are overweight and 30% obese, according to the latest federal figures.
The bill is unlikely to become law but shows concern about an issue that costs the state’s free medical care system an estimated $220 million each year.
Ted Mayhall, one of the politicians who proposed the bill, said he was hoping to “call attention to the problem”.
He said: “No-one’s doing anything about it. They just keep on going to the buffets and eating.”
But J Justin Wilson, an analyst for the Centre for Consumer Freedom, a restaurant industry lobby group, said: “I’ve seen a lot of crazy laws but this one takes the cake. Literally.”

Fogna a cielo aperto

A Novembre il giornalista Filippo Facci, coautore di molti blog tra cui quello di Lexi Amberson, ha scritto su il Giornale un'invettiva contro la Rai, definita in quella circostanza "cloaca da ripulire". Quasi istantaneamente viene querelato dalla tv di stato che, con una mossa inedita sollecitata da alcuni ignobili parlamentari, decide "per coerenza" di estrometterlo da ogni ospitata (come lo stesso Facci ha notato sarebbe come se le poste non smettessero di fare consegne ai clienti in causa). Salta dunque la presenza in studio da Santoro dove avrebbe parlato (fuori dal mainstream), a breve distanza dalla morte di Biagi, dell'"editto bulgaro" .
La settimana scorsa salta fuori che la Rai ha chiesto per la diffamazione avvenuta a mezzo stampa dieci milioni di euro, considerata la diffusione del quotidiano, il posizionamento in prima paginea ecc. ecc.
Il fondamento del danno risiede nel fatto che "l'azienda" sarebbe stata danneggiata nell'immagine e che di conseguenza i soldi servano come risarcimento delle supposte perdite sul mercato. Cosa che sarebbe forse vera se la Rai accettasse la logica di mercato. Purtroppo, invece, è un ente pubblico che oltre ad intascare i soldi degli inserzionisti pubblicitare si finanzia con un canone sempre più esoso.
Il canone ha una storia nota ma che vale la pena ricordare: inizialmente era una tassa che scattava immediatamente dopo l'acquisto di un televisore, in quanto a trasmettere c'era solo la Rai. In seguito ad un lungo braccio di ferro, nonostante la ferma opposizione di una gran parte dello schieramento politico (in particolare DC e PCI, ovvero il bigottismo totalitario) degli editori privati ottennero la concessione di trasmettero localmente. A questo punto occorreva un twist giuridico per mantenere l'obbligatorietà del canone. La soluzione fu magistrale, il canone venne trasformato in una tassa su ogni "apparecchio atto a ricevere", finalizzata a finanziare il "servizio pubblico".
Oggidì, questa dizione molto inclusiva obbligherebbe a pagare il canone anche solo se si possiede un telefonino figo, un lettore mp3 o un computer (il nostro lo ricorda qui). In pratica, essendo la procedura ancora legata alla registrazione dell'apparecchio (rigorosamente una canonica tv) ciò non avviene. Quindi, se non si posseggono televisori, si può stare tranquilli anche in caso di ispezione della Guardia di Finanza.
È palese la ridicolaggine di questo sistema, che sempre è stato ingiusto, nell'era dei decoder e della pay-tv. Siamo obbligati a sovvenzionare un'informazione che nei migliori dei casi è sempre filogovernativa, programmi thrash che fanno a gara con l'altro concorrente duopolista (che almeno non ha il canone), mummie imbalsamate che non fanno ascolto.
Senza contare l'effetto perverso che questo meccanismo scarica sul mercato delle tv private (e a Mediaset e ai suoi padroni va bene così.)
Qualcuno, giustifichi queste schifezze, se ci riesce. Se la Rai è una cloaca lo è a cielo aperto. E forse non è nemmeno per questo che Facci è stato querelato, ma per aver scritto su una prima pagina di un quotidiano a diffusione nazionale che il canone è da abolire.

La mia sfera di cristallo

Da un paio di settimane ho diversi motivi per ritenere che Ron Paul correrà da indipendente (o con il Partito Libertario).

martedì 5 febbraio 2008

Civiltà bancaria

La Finlandia è un paese civile. Lo sanno tutti. Sono forse in meno a sapere che si può essere civili oltre il limite del ridicolo. Domenica ho un visto un tizio che è andato a recuperare il prodotto organico del suo cane sotto 60 cm di neve, praticamente nel bosco e fuori da qualsiasi area abitata. A momenti,oltre al suo terrier avrebbe avuto bisogno di un sanbernardo che lo aiutasse nell'identificazione. Dopo aver individuato il misfatto lo ha infilato nell'apposito sacchettino (credo e spero biodegradabile) e lo ha gettato nel rifiuto umido.
Questo è senza dubbio un comportamento civile. Ma anche da pirla.
C'è poi da chiedersi se essere bancacentrici sia un'indice di civiltà. Qui tutto si fa tramite banca. Questi istituti non sono come quelli italiani, piccoli anfratti dove trovi due sportelli, un impiegato ed uno fermo in coda. E' più tipo un luogo di incontro, una chiesa. La gente ci va per fare quattro chiacchere. Ci sono questi saloni immensi con un mucchio di posti a sedere. Nelle ore di punta arrivi ad avere 50 persone davanti, ma ci sono molti impiegati e si fa tutto velocemente (leggi mezz'ora, sempre troppo). Che cavolo vanno a fare i finlandesi in banca? Non lo so, nel mio piccolo ci vado per pagare. Per pagare cosa? Tutto quello che non si compra in negozio. L'apice è stato quando un'associazione aveva organizzato una cena tipica per Natale. Il prezzo (sei euro) era invitante. Bisognava versare il denaro sul contocorrente. Se hai un conto in banca l'operazione è gratuita altrimenti sono cinque euro. Così la cena mi è passata da 5 ad 11 euro. In quell'occasione ho aperto un conto in banca, ora vuoto. Adesso mi ci reco per pagare l'affitto una volta al mese, e tanti saluti ai cinque euro. Anche ieri ho eseguito questa operazione, ormai di routine. Ho compilato il modulo (in finlandese e in svedese) e mi sono recato dopo quaranta minuti di fila allo sportello. L'impiegata mi chiede se voglio pagare tramite contanti. Li prende in mano e li guarda schizzinosa. A questo punto mi chiede il passaporto. Io le dico che con me ho solamente la carta di identità e gliela porgo. Dopo averla esaminata dieci minuti e fatto un paio di telefonate, decide che posso pagare, prendendosi nota di tutti i miei dati.
Ora, all'ente che mi affitta l'appartamento, che frega di tutto ciò? L'importante è che gli arrivino i soldi giusti, semmai se la vede con me. C'era davvero bisogno del controllo aereoportuale? Ma soprattutto, transazioni del genere non dovrebbero/potrebbero essere anonime?
Niente di importante, questo è un paese civile.

domenica 3 febbraio 2008

Scava, Lazzaro, scava!!!

venerdì 1 febbraio 2008

Le stufe da esterno nel mirino dell'UE

Spesso gli scettici del global warming sono oggetto di facile ironia. Al contrario del Parlamento Europeo, che legifera in tutta serietà. Ieri è stato il turno delle stufe da esterno, che hanno trovato popolare diffusione dopo il decreto Sirchia che ha vietato il fumo nei locali pubblici (a meno di costosi e spesso impossibili adeguamenti).

Ieri il Parlamento di Bruxelles ha fatto il primo passo per metterli al bando. A larghissima maggioranza — 592 sì, 26 no e 30 astenuti — gli eurodeputati hanno approvato una relazione che chiede alla commissione europea di fissare una data per il loro ritiro dal commercio.

Domanda. Ma gli europarlamentari hanno in meno preso in considerazione questo?

l professor Eric Johnson — componente della Convenzione dell'Onu per i cambiamenti climatici — ha calcolato che i funghi producono lo 0,002 per cento del totale delle emissioni di anidride carbonica. E che ci vorrebbero cinque stufe accese un anno di fila per avere la stessa quantità di CO2 prodotta da un solo televisore lasciato in stand by, sempre per un anno intero. Davvero una pagliuzza.

Ma certo che sì! Infatti, per parcondicio:
già che c'erano, anche per modificare il meccanismo di stand by degli elettrodomestici, quella lucina rossa che resta accesa quando televisori e stereo sono in realtà spenti. Per stufe e lucine il problema è lo stesso: consumano energia. E scaricano nell'aria anidride carbonica contribuendo al riscaldamento globale.
Forse non era quello, il senso dello statement di Johnson.
Un certo Merighi, consigliere comunale a Bologna, che due mesi fa aveva proposto la messa al bando, ha detto: "Capisco l'aspetto economico (tanto i soldi non sono tuoi, ndr) — aveva detto — ma mentre i ghiacciai si sciolgono vedere noi che facciamo l'aperitivo sotto il fungone è un'immagine da Titanic".
Soldi investiti che andrebbero a farsi fottere. Fabbriche che chiuderebbero. Lavoratori licenziati. Il tutto per una verità scientifica assolutamente non provata. Ma a questi mentecatti che importa? mica sono aziende statali.
Settimana di segnalazioni, questa, ma proprio non riesco a stare zitto.