Nel seguente post verranno maltrattate a dovere alcune delle più perniciose scempiaggini della modernità, in particolare: patria, popolo, risorgimento, stronzate mazziniane assortite e, naturalmente lo Stato. Se qualche avventore (magari fan di quelli che mi spammano nella mail stupidaggini liberal-socialiste) crede ancora a queste favole farà meglio a cambiare aria. E testa.
Nota: non ho trovato di meglio che riportare quasi tutto il testo. Per una lettura veloce, saltare alle conclusioni.
Il Corriere della Sera, nel suo infaticabile lavoro di formazione delle coscienze, ieri apriva con un editoriale del famigerato Claudio Magris.
LE NAZIONI VIOLENTE
Un grande e illuminato padre dell'idea di nazione, Giuseppe Mazzini, la concepiva come un'identità fraternamente solidale con le altre; la sua Giovine Italia non è pensabile senza la Giovine Europa in cui doveva armoniosamente inserirsi. Ogni nazione appariva, in questo disegno, non solo rispettosa, ma pure bisognosa delle altre, come lo è ogni voce in un coro, inconfondibile ma intonata in accordo con tutte le altre.
Un altro geniale fondatore dell'idea di nazione, Herder, amico di gioventù di Goethe, vedeva l'umanità come un grande albero, di cui le diverse nazioni erano elementi costitutivi, distinti ma organicamente connessi, come le foglie le radici la corteccia. [...]
In realtà, come dimostrerà in seguito lo stesso Magris, Mazzini ed Herder, rispettivamente ideologi dell'unificazione italiana e tedesca sono qui citati come geniali e illuminati banalmente perché fanno parte dei vincitori. Nel programma mazziniano, la cospirazione, l'assassinio, la sobillazione facevano la parte del leone. Ma non c'era un Magris all'epoca che lo accusasse di violenza.
La nazionalità non è un atavico e deterministico retaggio di sangue; è un dato culturale, un sentimento spontaneo di appartenenza; è ciò che uno sente di essere. L'identità non è un dato arcaico e immutabile, ma è sempre in divenire, afferma Roberto Toscano; appartiene al fare prima che all'essere, ha scritto Predrag Matvejevic.
Se volessimo determinare l'identità nazionale in base a criteri razziali e al Dna — in questo caso meno affidabile di un inno patriottico — ci perderemmo in una giungla di atomi etnici, in quel buio dell'origine che Nietzsche ci ha insegnato a considerare non già miticamente fascinoso, bensì insignificante [...]
Non si può non essere d'accordo con questa idea di nazione. Un'entità che si costituisce naturalmente sulla base della voglia di stare insieme dei singoli individue (un riconoscimento non necessariamente etnico, ma sempre culturale. Ma è andata così? E soprattutto era davvero questa l'idea di Mazzini?
Nella visione di Herder o di Mazzini, le nazioni dovevano essere concordi. Nella realtà le cose sono andate in modo opposto; la storia dell'idea di nazione [...] e l'affermazione del principio di nazionalità sono una serie di conflitti, oppressioni, rivendicazioni, deliri di superiorità culturale o razziale, lividi e vendicativi complessi di inferiorità, odi viscerali e fautori di violenze, sino alla strage e al genocidio. La nazione è divenuta nazionalismo ossia snazionalizzazione di altre [...]
L'ideale mazziniano era intrensicamente violento. Da una parte rappresentava un conato rivoluzionario contro lo status quo delle monarchie europee, un ordine certamente non giusto, dall'altro lato una sua prosecuzione in quanto miravi a "costruire" uno Stato nazionale facsimile della Francia, per contare di più nel mondo: in un certo senso l'anticamera del fascismo. Un buon esercizio per riflettere sarebbe quello di sostituire al soggetto "idea di nazione", la parola Stato.
Certo, poi, le nazioni (quelle che voleva gente come Mazzini e Herder) avrebbero cooperato, ma prima bisognava farla nascere. Sulla base di che cosa?
La violenza si scatena soprattutto quando si confondono due principi e due realtà distinte, la nazione e lo Stato. Talora essi possono di fatto quasi coincidere, come nel caso della Francia; talora sono nettamente distinti, come nel caso della Svizzera. Ma da nessuna parte sta scritto che cittadinanza e nazionalità debbano coincidere. Alcuni dei più grandi Stati della storia — non solo materialmente, anche culturalmente e politicamente — sono plurinazionali, dall'impero romano a quello absburgico e, oggi, agli Stati Uniti, mosaico di tante stirpi diverse.
Certo, da nessuna parte, tranne che negli scritti di Mazzini, quasi precursore del nazionalismo etnico, che considerava l'Italia come un'unica grande anima popolare, con tutte le fregnacce su Dio che ne seguivano, tanto che il suo principale bersaglio era quell'impero absburgico (così lo scrivono i professoroni come Magris) che è qui citato come esempio di Stato multiculturale. Magris poi dovrebbe provare ad andare in Svizzera e provare a spiegare a un tizio di Lugano che è di nazionalità italiana. La Svizzera è uno dei pochi casi di comunità sorta naturalmente in seguito ad un patto (foedus) tra persone di lingua e cultura differenti.
Anche gli Stati più compatti dal punto di vista nazionale comprendono minoranze. È impossibile — e sarebbe un' astrazione apportatrice di impoverimento — tracciare confini che separino nettamente le nazionalità.
Ma è possibile lasciare che la gente se ne vada da uno stato che non ritiene il suo. Si chiama secessione, e mi sembra che l'autore stia scrivendo per deligittimarla.
Essenziale, per la vita civile di un Paese, è la piena tutela delle minoranze, il loro diritto formale e la loro possibilità reale di sviluppare liberamente la propria lingua, la propria cultura, la propria nazionalità.
È essenziale alla vecchia strategia del dividi et timpera, di cui il Potere è bene a conoscienza, oltre che al mantenimento di una serie di istituti statali volti a questo compito (gli stessi che, nel tempo libero, inventano nuove minoranze a tavolino)
La delirante pretesa di fare di ogni nazionalità uno Stato — barbarico richiamo della foresta che sembrava esorcizzato dai processi di aggregazione e unificazione su basi federali — dilaga sempre più, minacciando nuove sciagure.
È molto più delirante pretendere di tenere tutti assieme uniti in fratellanza. Da questo sono derivate le "sciagure".
Non tocco il tasto dell'indipendenza del Kossovo, esempio che ritengo poco significativo e fuorviante, anche se è questo il casus belli di Magris.
Francesco Battistini ha illustrato l'effetto a catena che l'indipendenza del Kosovo può provocare: Abkhazia, Ossezia, fiamminghi e/o valloni, bretoni e via di seguito e Alberto Ronchey ha sottolineato il pericolo di nuovi, sanguinosi conflitti nell'ex Jugoslavia.
Ma non conflitti nell'ex Belgio, nell'ex URSS e nell'ex Francia (che nello stesso articolo, ricordo, Magris ha portato come esempio di Stato che coincide con la nazione, evidentemente i bretoni non sono daccordo).
Chi ha mai detto che ogni gruppo etnico deve costituire uno Stato, quale è il confine, la misura di un gruppo nazionale che voglia divenire uno Stato? I tremila queni, i duecentomila sorbi, gli ottocentoventidue cici? Non è il numero che conta; per quanto numericamente modesta, ogni comunità nazionale, ogni minoranza deve essere pienamente tutelata.
Anche il milioncino scarso di ceceni lo è? E soprattutto chi dice che non vengano tutelati nel nuovo Stato?
Ma non per questo è possibile che diventi uno Stato. Nei micro-stati, sorti per febbre identitaria e nazionalista, le minoranze, inevitabilmente esistenti al loro interno, sarebbero esposte a pesanti oppressioni; in un eventuale Stato basco i numerosi spagnoli viventi nel suo territorio sarebbero assai meno tutelati di quanto lo siano oggi i baschi in Spagna.
Qui Magris, con un bel processo alle intenzioni la fa abbondantemente fuori dal vaso. I baschi, persone civili brutalmente oppressi e repressi nella Spagna franchista e sottoposti ad un processo di spagnolizzazione mai arrestatasi, ringraziano.
Se si inizia a scindere ogni comunità nelle sue componenti — etniche, religiose, di qualsiasi genere — non si finisce più o si finisce per arrivare al singolo individuo, diverso da ogni altro.
Bingo! Dov'è il problema?
La corsa di ogni gruppo nazionale a Stato è tanto più grottesca oggi, in un'epoca nella quale la cosiddetta globalizzazione spinge tanti individui dai più diversi continenti in altri Paesi, creando situazioni in cui la fedeltà affettiva alle proprie origini — alla propria lingua, alle proprie tradizioni — può realizzarsi soltanto nell' integrazione nel nuovo Paese. Gli Stati Uniti o la Francia, il Paese per eccellenza della grande Nation, sono fortemente costituiti da cittadini provenienti da altre parti del mondo o da territori metropolitani di altra stirpe, che si sentono profondamente cittadini americani o francesi, consapevoli di preservare in tal modo la loro cultura molto meglio dei patetici separatismi.
Grottesco, in un mondo globalizzato è più il concetto dello Stato ottocentesco, più o meno come l'ha concepito Mazzini. Proprio perché come si diceva in alto ogni nazione ha bisogno dell'altra, la stessa idea di conflittualità che ha portato alla nascita dei Leviatani è superata. Gli immigrati equo e solidali sembra che preservino, più che la cultura -mantenuta a suon di consiglieri etnici e di cibo halal in mensa scolastica- lo stato sociale dal suo inevitabile fallimento.
La nazionalità è un valore caldo: lingua, consuetudini, canzoni, paesaggi, cibi. Lo Stato è un valore freddo: leggi, regole, sicurezza e assistenza sociale. Si amano i valori caldi, ci si commuove per una canzone natia, non per un articolo di un codice.
La differenza è che il secondo è imposto, la prima no.
Ma è quest'ultimo che permette a ognuno di cantare, commuovendosi, le sue canzoni.
Ma anche, a gentile richiesta, di vietarle.
Conclusione: il Magris, intelettuale sopravvalutato, ha confezionato un testo in cui gli argomenti latitano e i pochi sono in gran parte di natura persuasiva. L'accostamento del Kosovo (dove una maggioranza musulmana combatte, più che per l'indipendenza, per unirsi all'Albania) a realtà completamente occidentali come Paesi Baschi, Fiandre e Bretagna (aggiungo Scozia, Catalogna e altri focolai di casa nostra che sono ben lieto di fomentare) è quantomeno disonesto. In secondo luogo, l'esempio mazziniano, portato come antitesi (nazionalismo buono vs nazionalismo cattivo) è fallimentare in quanto l'unica differenza tra Mazzini e gli indipendentisti sopracitati è la scala e l'epoca su cui operano. L'aggravante è che Mazzini ammetteva francamente la necessità, da parte dello Stato nazionale, di limitare le identità (gli "egoismi") locali, perché esso doveva essere abbastanza forte e unito (un'unità artificiosa) da rivendicare un certo ruolo nel mondo. E' difficile che le forze secessioniste giungano a tanto, visto che si battono per entità nazionali più limitate e dal momento che vengono da una situazione di repressione.
Il bacino ideologico dell'articolo è insomma ben noto, superato e non riesce a demolire questa semplice osservazione dettata dal buon senso: che la gente ha il diritto di scegliere con chi vivere e da cosa, eventualmente, farsi governare.
La lettura consigliata a Magris e a tutti gli altri è questo classico di Rothbard: Nazioni per consenso.
Nota: non ho trovato di meglio che riportare quasi tutto il testo. Per una lettura veloce, saltare alle conclusioni.
Il Corriere della Sera, nel suo infaticabile lavoro di formazione delle coscienze, ieri apriva con un editoriale del famigerato Claudio Magris.
LE NAZIONI VIOLENTE
Un grande e illuminato padre dell'idea di nazione, Giuseppe Mazzini, la concepiva come un'identità fraternamente solidale con le altre; la sua Giovine Italia non è pensabile senza la Giovine Europa in cui doveva armoniosamente inserirsi. Ogni nazione appariva, in questo disegno, non solo rispettosa, ma pure bisognosa delle altre, come lo è ogni voce in un coro, inconfondibile ma intonata in accordo con tutte le altre.
Un altro geniale fondatore dell'idea di nazione, Herder, amico di gioventù di Goethe, vedeva l'umanità come un grande albero, di cui le diverse nazioni erano elementi costitutivi, distinti ma organicamente connessi, come le foglie le radici la corteccia. [...]
In realtà, come dimostrerà in seguito lo stesso Magris, Mazzini ed Herder, rispettivamente ideologi dell'unificazione italiana e tedesca sono qui citati come geniali e illuminati banalmente perché fanno parte dei vincitori. Nel programma mazziniano, la cospirazione, l'assassinio, la sobillazione facevano la parte del leone. Ma non c'era un Magris all'epoca che lo accusasse di violenza.
La nazionalità non è un atavico e deterministico retaggio di sangue; è un dato culturale, un sentimento spontaneo di appartenenza; è ciò che uno sente di essere. L'identità non è un dato arcaico e immutabile, ma è sempre in divenire, afferma Roberto Toscano; appartiene al fare prima che all'essere, ha scritto Predrag Matvejevic.
Se volessimo determinare l'identità nazionale in base a criteri razziali e al Dna — in questo caso meno affidabile di un inno patriottico — ci perderemmo in una giungla di atomi etnici, in quel buio dell'origine che Nietzsche ci ha insegnato a considerare non già miticamente fascinoso, bensì insignificante [...]
Non si può non essere d'accordo con questa idea di nazione. Un'entità che si costituisce naturalmente sulla base della voglia di stare insieme dei singoli individue (un riconoscimento non necessariamente etnico, ma sempre culturale. Ma è andata così? E soprattutto era davvero questa l'idea di Mazzini?
Nella visione di Herder o di Mazzini, le nazioni dovevano essere concordi. Nella realtà le cose sono andate in modo opposto; la storia dell'idea di nazione [...] e l'affermazione del principio di nazionalità sono una serie di conflitti, oppressioni, rivendicazioni, deliri di superiorità culturale o razziale, lividi e vendicativi complessi di inferiorità, odi viscerali e fautori di violenze, sino alla strage e al genocidio. La nazione è divenuta nazionalismo ossia snazionalizzazione di altre [...]
L'ideale mazziniano era intrensicamente violento. Da una parte rappresentava un conato rivoluzionario contro lo status quo delle monarchie europee, un ordine certamente non giusto, dall'altro lato una sua prosecuzione in quanto miravi a "costruire" uno Stato nazionale facsimile della Francia, per contare di più nel mondo: in un certo senso l'anticamera del fascismo. Un buon esercizio per riflettere sarebbe quello di sostituire al soggetto "idea di nazione", la parola Stato.
Certo, poi, le nazioni (quelle che voleva gente come Mazzini e Herder) avrebbero cooperato, ma prima bisognava farla nascere. Sulla base di che cosa?
La violenza si scatena soprattutto quando si confondono due principi e due realtà distinte, la nazione e lo Stato. Talora essi possono di fatto quasi coincidere, come nel caso della Francia; talora sono nettamente distinti, come nel caso della Svizzera. Ma da nessuna parte sta scritto che cittadinanza e nazionalità debbano coincidere. Alcuni dei più grandi Stati della storia — non solo materialmente, anche culturalmente e politicamente — sono plurinazionali, dall'impero romano a quello absburgico e, oggi, agli Stati Uniti, mosaico di tante stirpi diverse.
Certo, da nessuna parte, tranne che negli scritti di Mazzini, quasi precursore del nazionalismo etnico, che considerava l'Italia come un'unica grande anima popolare, con tutte le fregnacce su Dio che ne seguivano, tanto che il suo principale bersaglio era quell'impero absburgico (così lo scrivono i professoroni come Magris) che è qui citato come esempio di Stato multiculturale. Magris poi dovrebbe provare ad andare in Svizzera e provare a spiegare a un tizio di Lugano che è di nazionalità italiana. La Svizzera è uno dei pochi casi di comunità sorta naturalmente in seguito ad un patto (foedus) tra persone di lingua e cultura differenti.
Anche gli Stati più compatti dal punto di vista nazionale comprendono minoranze. È impossibile — e sarebbe un' astrazione apportatrice di impoverimento — tracciare confini che separino nettamente le nazionalità.
Ma è possibile lasciare che la gente se ne vada da uno stato che non ritiene il suo. Si chiama secessione, e mi sembra che l'autore stia scrivendo per deligittimarla.
Essenziale, per la vita civile di un Paese, è la piena tutela delle minoranze, il loro diritto formale e la loro possibilità reale di sviluppare liberamente la propria lingua, la propria cultura, la propria nazionalità.
È essenziale alla vecchia strategia del dividi et timpera, di cui il Potere è bene a conoscienza, oltre che al mantenimento di una serie di istituti statali volti a questo compito (gli stessi che, nel tempo libero, inventano nuove minoranze a tavolino)
La delirante pretesa di fare di ogni nazionalità uno Stato — barbarico richiamo della foresta che sembrava esorcizzato dai processi di aggregazione e unificazione su basi federali — dilaga sempre più, minacciando nuove sciagure.
È molto più delirante pretendere di tenere tutti assieme uniti in fratellanza. Da questo sono derivate le "sciagure".
Non tocco il tasto dell'indipendenza del Kossovo, esempio che ritengo poco significativo e fuorviante, anche se è questo il casus belli di Magris.
Francesco Battistini ha illustrato l'effetto a catena che l'indipendenza del Kosovo può provocare: Abkhazia, Ossezia, fiamminghi e/o valloni, bretoni e via di seguito e Alberto Ronchey ha sottolineato il pericolo di nuovi, sanguinosi conflitti nell'ex Jugoslavia.
Ma non conflitti nell'ex Belgio, nell'ex URSS e nell'ex Francia (che nello stesso articolo, ricordo, Magris ha portato come esempio di Stato che coincide con la nazione, evidentemente i bretoni non sono daccordo).
Chi ha mai detto che ogni gruppo etnico deve costituire uno Stato, quale è il confine, la misura di un gruppo nazionale che voglia divenire uno Stato? I tremila queni, i duecentomila sorbi, gli ottocentoventidue cici? Non è il numero che conta; per quanto numericamente modesta, ogni comunità nazionale, ogni minoranza deve essere pienamente tutelata.
Anche il milioncino scarso di ceceni lo è? E soprattutto chi dice che non vengano tutelati nel nuovo Stato?
Ma non per questo è possibile che diventi uno Stato. Nei micro-stati, sorti per febbre identitaria e nazionalista, le minoranze, inevitabilmente esistenti al loro interno, sarebbero esposte a pesanti oppressioni; in un eventuale Stato basco i numerosi spagnoli viventi nel suo territorio sarebbero assai meno tutelati di quanto lo siano oggi i baschi in Spagna.
Qui Magris, con un bel processo alle intenzioni la fa abbondantemente fuori dal vaso. I baschi, persone civili brutalmente oppressi e repressi nella Spagna franchista e sottoposti ad un processo di spagnolizzazione mai arrestatasi, ringraziano.
Se si inizia a scindere ogni comunità nelle sue componenti — etniche, religiose, di qualsiasi genere — non si finisce più o si finisce per arrivare al singolo individuo, diverso da ogni altro.
Bingo! Dov'è il problema?
La corsa di ogni gruppo nazionale a Stato è tanto più grottesca oggi, in un'epoca nella quale la cosiddetta globalizzazione spinge tanti individui dai più diversi continenti in altri Paesi, creando situazioni in cui la fedeltà affettiva alle proprie origini — alla propria lingua, alle proprie tradizioni — può realizzarsi soltanto nell' integrazione nel nuovo Paese. Gli Stati Uniti o la Francia, il Paese per eccellenza della grande Nation, sono fortemente costituiti da cittadini provenienti da altre parti del mondo o da territori metropolitani di altra stirpe, che si sentono profondamente cittadini americani o francesi, consapevoli di preservare in tal modo la loro cultura molto meglio dei patetici separatismi.
Grottesco, in un mondo globalizzato è più il concetto dello Stato ottocentesco, più o meno come l'ha concepito Mazzini. Proprio perché come si diceva in alto ogni nazione ha bisogno dell'altra, la stessa idea di conflittualità che ha portato alla nascita dei Leviatani è superata. Gli immigrati equo e solidali sembra che preservino, più che la cultura -mantenuta a suon di consiglieri etnici e di cibo halal in mensa scolastica- lo stato sociale dal suo inevitabile fallimento.
La nazionalità è un valore caldo: lingua, consuetudini, canzoni, paesaggi, cibi. Lo Stato è un valore freddo: leggi, regole, sicurezza e assistenza sociale. Si amano i valori caldi, ci si commuove per una canzone natia, non per un articolo di un codice.
La differenza è che il secondo è imposto, la prima no.
Ma è quest'ultimo che permette a ognuno di cantare, commuovendosi, le sue canzoni.
Ma anche, a gentile richiesta, di vietarle.
Conclusione: il Magris, intelettuale sopravvalutato, ha confezionato un testo in cui gli argomenti latitano e i pochi sono in gran parte di natura persuasiva. L'accostamento del Kosovo (dove una maggioranza musulmana combatte, più che per l'indipendenza, per unirsi all'Albania) a realtà completamente occidentali come Paesi Baschi, Fiandre e Bretagna (aggiungo Scozia, Catalogna e altri focolai di casa nostra che sono ben lieto di fomentare) è quantomeno disonesto. In secondo luogo, l'esempio mazziniano, portato come antitesi (nazionalismo buono vs nazionalismo cattivo) è fallimentare in quanto l'unica differenza tra Mazzini e gli indipendentisti sopracitati è la scala e l'epoca su cui operano. L'aggravante è che Mazzini ammetteva francamente la necessità, da parte dello Stato nazionale, di limitare le identità (gli "egoismi") locali, perché esso doveva essere abbastanza forte e unito (un'unità artificiosa) da rivendicare un certo ruolo nel mondo. E' difficile che le forze secessioniste giungano a tanto, visto che si battono per entità nazionali più limitate e dal momento che vengono da una situazione di repressione.
Il bacino ideologico dell'articolo è insomma ben noto, superato e non riesce a demolire questa semplice osservazione dettata dal buon senso: che la gente ha il diritto di scegliere con chi vivere e da cosa, eventualmente, farsi governare.
La lettura consigliata a Magris e a tutti gli altri è questo classico di Rothbard: Nazioni per consenso.
6 commenti:
"la Francia, il Paese per eccellenza della grande Nation, sono fortemente costituiti da cittadini provenienti da altre parti del mondo o da territori metropolitani di altra stirpe, che si sentono profondamente cittadini americani o francesi"
sarà per questo che ogni dannata notte gli abitanti della banlieu si scontrano con la polizia: perché si sentono pienamente francesi, e vogliono contribuire alla causa sfasciando le auto della polizia.
Tra l'altro parla di fusione di culture, di scambio, uno che non ha rinunciato a fondare un partito che avesse il suo nome: "Lista Magris" (con cui è stato pure eletto al Senato dal '94 al '96... la madre degli elettori fessi è sempre incinta). Egocentrico smisurato, e viene a fare la predica a popoli che, almeno, una storia ce l'hanno...
"Se si inizia a scindere ogni comunità nelle sue componenti — etniche, religiose, di qualsiasi genere — non si finisce più o si finisce per arrivare al singolo individuo, diverso da ogni altro."
Favoloso, crede di aver detto qualcosa a sostegno della sua tesi.
Comunque è interessante notare come abbia cambiato idea sull'Impero Asburgico: studiando letteratura austriaca mi sono imbattuto nella sua tesi di laurea "Il mito Asburgico", nella quale afferma che lo Stato Austro-Ungarico non ha mai funzionato come Stato plurinazionale, anzi, è la perfetta dimostrazione di come tante nazionalità non possano convivere sotto una stessa bandiera...
Quando commenti "Bingo!" centri perfettamente il punto. La sinistra difende un individualismo posticcio e pretestuoso: mette gli individui in condizioni di solipsismo spinto, li consegna allo strapotere dello stato-nazione senza intermediazioni spontanee e gli racconta la favola bella dei "diritti". Che sono tali solo se promanano dall'Ente, figurati: io lo chiamerei liberalpaternalismo.
invisigoth / matthias: grazie per le info, le ignoravo entrambe: grazie a Dio non avevo coscienza politica all'epoca della lista magris, scommetto che è stata votata tutti da professoroni (i caccademici) dello stesso stamo di Magris.
Per quanto riguarda matthias, di cui ignoravo le raffinate (manco per il cazzo, trattasi di MAGRI studiosi) escursioni storiche, che c'è da aggiungere: l'articolo del nostro è tutto una serie di istanze che si contraddicono a vicenda, accusa secessionisti non violenti di esserlo e secessionisti del passato (violenti) li definisce "illuminati". Spero di averlo dimostrato.
Ismael: apri un discorso a me caro, siamo in mano a degli schizofrenici: se chiedi ad un sinistr quali sono i mali di ggidì risponderà 1) il liberismo "selvaggio", quando di liberismo non c'è l'ombra e quando le principali ingiustizie derivano da politiche stataliste
1) l'individualismo, i.e. l'alienazione del singolo dalla società, causata in gran parte dalla perdita di responsabilità e del gusto di vivere con gli altri derivata dall'invadenza del Leviatano.
good start
molto intiresno, grazie
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