lunedì 7 aprile 2008

Stato e comunità /2

Il free riding ed il problema della sicurezza.

Lo Stato è, nella concezione dei suoi teorici moderni, la cura per patologie sociali: i comportamenti violenti e pericolosi (Hobbes), il free riding (Rosseau).
Per i libertari la posizione di Hobbes è ridicola, scrive Fabio Massimo Nicosia:
"...è una tesi che sostiene che lo Stato è necessario, e per questo gli uomini si accordano per costituirlo, perché in assenza di Stato la cooperazione è impossibile, dato che senza coercizione non è possibile garantire la soddisfazione delle aspettative che si creano tra individui interagenti. Senonchè l’argomentazione è, ancora una volta, paradossale: se, infatti, gli uomini, a causa dei costi di transazione, non sono in grado di concludere ed eseguire spontaneamente accordi vincolanti specifici di scala tutto sommato modesta, quali quelli che si realizzano quotidianamente nel libero mercato, non si vede in forza di quale virtù magica quegli stessi uomini dovrebbero invece rivelarsi in grado di stipulare e rendere esecutivo nientedimeno che un [...] contratto sociale universale, i cui costi di transazione tendono all’infinito. Insomma, le teorie contrattualiste ritengono lo Stato necessario per l’incapacità degli uomini di cooperare, ma poi pongono a proprio fondamento il più fenomenale atto di cooperazione che si possa immaginare: un unico contratto universale, stipulato da tutti gli uomini all’unanimità!
E chiaro perciò che lo Stato non nasce mai attraverso un accordo tra gli uomini, ma sempre e solo in conseguenza di un’azione militare di occupazione e di conquista. "

Per quanto riguarda il free-riding: dato che esso è definibile come il godimento di esternalità positive derivate da un bene comune senza che si sia provveduto ad esso, i libertari propongono una radicale soluzione: evitare i beni comuni.
A mio avviso questa è un'esagerazione: in certe circostanze può essere vantaggiosa di rende un bene di possesso comune. Ad esempio, la spettabile reggenza dei Sette Comuni (l'Altopiano d'Asiago), splendido esempio di comunità semi-anarchica (formalmente faceva parte della repubblica Veneta, ma era autogestita) i terreni per il pascolo (la maggioranza) erano di proprietà collettiva, mentre le coltivazioni no.
La sicurezza è di norma considerata il bene collettivo tout court: sua caratteristica fondamentale, infatti, è quella di applicarsi ad un'area, più che alla singola persona, per cui di essa beneficia anche chi non ne paga i servizi. Questi aspetti, indivisibiluità e non escludabilità mi sembra quello che collide di più con la teoria, portata avanti da libertari come Block e Hoppe, che sostiene la possibilità di provvedere a tale bene attraverso il mercato. La risposta dei due a queste critiche (si veda questo, saggi 9 e 10) non nega queste critiche, ma si limita ad argomentare che il mercato della sicurezza è possibile nonostante queste.
Anche concordando su questo punto, si deve ammettere che è più probabile, anche per ragioni di semplicità contrattuale, che una comunità si accordi di istituire un monopolio della sicurezza e di escludere, eventualmente, chi non intende contribuire ad esso. Oltretutto ciò permetterebbe un maggiore controllo sulle forze dell'ordine. E questo parlando di sicurezza interna, perché se si va sul settore delle relazioni estere la cosa diventa ancora più incasinata.

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