venerdì 9 novembre 2007

Libertà positiva e negativa nella storia. Skinner vs Berlin.

Il concetto di libertà negativa, come è ben noto, è fondamentale per la teoria libertaria. Le critiche estemporanee che vengono mosse ai liberali classici e ai libertari solitamente da parte di persone che per la prima volta si scontrano con i nostri argomenti sono perlopiù dovute alla non conoscenza di questa.
In realtà questo non fa che denotare una più generale incertezza nei confronti della parola "libertà", secondo molti teorici, il concetto più controverso della teoria politica.
La distinzione tra libertà positiva e negativa è opera di uno studioso inglese, Isaiah Berlin, attivo nella seconda metà del secolo scorso. Berlin rivoluzionò la teoria politica quando accusò la modernità, a partire da Rousseau e Hegel, di aver pervertito la nozione di libertà; secondo il nostro il concetto classico, quello sviluppato dai primi liberali come i parlamentaristi inglesi, consisteva nel non essere oppressi da un potere coercitivo nella vita quotidiana. Una libertà "da", insomma. In seguito alla rivoluzione francese e alle influenze di alcuni pensatori tra cui quelli sopracitati, si affermò invece il sentire comune che garantire la libertà significasse anche assicurare dei diritti positivi, come ad esempio l'uguaglianza delle opportunità. E' come dire che se la libertà di stampa, nel senso che ognuno è libero di pubblicare e diffondere stampati, è una libertà negativa, essa diventa positiva nel momento in cui si fa in modo tale che tutti abbiano accesso agli attrezzi per la stampa.
La critica di Berlin è che il lato positivo della libertà porta ad una compressione del lato negativo, dovendo giustificare un potere coercitivo per essere garantite.

Il dibattito nel mondo anglofono è stato riaperto negli anni '90 da Quentin Skinner (non quello dei Simpson), uno straordinario innovatore nel campo della storia concettuale. Non mi dilungo sul suo metodo, basti sapere che propogna una contestualizzazione dei classici del pensiero politico, una rilettura di essi alla luce della funzione che dovevano avere nel dibattito politico del tempo. I risultati, ad esempio nel caso di Hobbes, Locke e Machiavelli sono spesso sorprendenti.
Per Skinner, Berlin ha preso un granchio colossale: sarebbero proprio gli autori liberali ad aver tradito l'originaria concezione occidentale della libertà.
Innanzitutto, Skinner ci fa un grosso complimento cominciando a sostenere che il concetto della libertà politica è nato nell'Italia del nord, all'epoca delle repubbliche cittadine, ed è poi stato portato avanti nel '600 inglese dal movimento Neo-Romano (Osborne, Neville e Milton, per fare qualche nome, l'ultimo è quello del Paradise Lost). Ebbene, tutti costoro sosterrebbero che la libertà è caratterizzata da uno stato di non dipendenza dal sovrano "come quello del servo dal padrone", senza un potere discrezionale (condizione necessaria E sufficiente). La differenza può sembrare minima, ma non lo è: il grado di libertà non si misura dalla compressione dei diritti individuali, ma solo dall'essere liberi in uno stato libero. Se c'è libertà di accesso agli organi legislativi ed un criterio di rapprentanza, lo stato e chi vi abita sono liberi. Traduzione: le democrazie moderne non hanno tradito il concetto di libertà.

Si sbagliavano i liberali, insomma, ma si sbagliava anche Hobbes quando sosteneva che lo Stato necessariamente limita la libertà dei cittadini, qualsiasi sia la sua natura e costituzione (ed è per questo che i libertari dovrebbero essere sempre grati ad Hobbes, perché sta dall'altra parte ma dice la verità :)).
Ora la questione è: che ce frega? Il fatto che la concezione tradizionale della libertà fosse diversa da quella di Berlin non sta a significare che la teoria della libertà negativa non si adegui maggiormente a quella dei diritti naturali, almeno come sono stati formulati durante l'indipendenza americana. Questa è già una buon argomento per infischiarsi di questo grande dibattito contemporaneo. Ma secondo me la debolezza del ragionamento di Skinner è anche un'altra: considera la teoria della libertà degli antichi, ma non la teoria dello stato. Pur sapendo che le repubbliche cittadine padane e i parlamentaristi inglesi non ritenevano ci fosse libertà senza partecipazione diretta o per rappresentanza nel potere legislativo e esecutivo non è detto che i ruoli di quei governi corrispondessero a quelli degli stati attuali, anzi. Come dire: le libertà positive avranno anche avuto i mezzi, quella che mancava era la volontà.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando parlo di libertà mi viene in mente il diritto anglo-americano e l'Olanda. FOrse per ignornanza della storia, ma anche se la libertà dei liberali, cioè quella anglosassone, fosse un'invenzione di Albione, come dici tu, che ci frega?

Che la libertà degli antichi di Constant differisse da quella dei moderni lo sappiamo. Ma, come dice L. M. Bassani (prefazione a Jefferson, Libero edizioni), quella dei contemporanei non assomiglia a nessuna dei due. :-)

LF

Orso von Hobantal ha detto...

Il libro di Skinner che opera questa distinzione (appunto riporta quella lezione) mi sembra francamente fine a se stesso. Il libro che illustra l'attività, la metodologia e il pensiero di Skinner adombra l'ipotesi che ci sia un fine politico (la polemica tende conto di troppi autori che ignoro, come Pettit) del tipo: "la nostra vera tradizione è quella del ricercare la libertà all'interno dello stato, quindi i punti di partenza di Nozick come di Rawls sono sbagliati. Ignoriamo una condizione primigienia di libertà senza lo stato, piuttosto partiamo da esso".

Mi riunisco al chissenefrega.

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie