martedì 27 novembre 2007

Diritti naturali - premessa.

Secondo molti tra quelli che condividono le mie idee, il fondamento naturale del diritto è poco più che un'optional, un'allegra favoletta in cui fa bene credere, ma che è in realtà arduo dimostrare, manco fosse l'esistenza di Dio.
Ciò dipende, secondo me, da una definizione non completamente esatta di diritto naturale, molto spesso ritenuto banalmente il ritenere che esistano dei diritti inviolabili di cui l'uomo è investito. Se fosse semplicemente così bisognerebbe trovare una sorta di tavola della legge con questi diritti scritti sopra, o perlomeno postulare un ancoramento soprannaturale agli stessi. In poche parole sarebbe sì una fede.
Gran parte di questa concezione deriva dai testi considerati giusnaturalistici per eccellenza, ad esempio la costituzione americana o -udite, udite- il Leviatano del nostro amico Tommaso Hobbes. L'esito illiberale di quel libro satanico non lo esclude infatti dalla stessa scuola di pensiero che di Locke e prima ancora di Tommaso D'Aquino. La costruzione politica di Hobbes è basata infatti su degli assunti che vengono nominati diritti naturali. In realtà con questo nome Hobbes spaccia la sua particolarissima antropologia materialistica dell'homo homini lupus, attraverso una serie di asserzioni che arrivano ad postulare il sovrano assoluto come il minore dei mali e la cui istituzione, paradossalmente ma non troppo, darà inizio ad un diritto positivo del tutto arbitrario.
Questo dovrebbe essere sufficiente per scoprire il trucco. Il diritto naturale, nella sua concezione classica non è tanto il fine del ragionamento politico, ma il mezzo o meglio ancora il punto di partenza. Per gli autori del XVII secolo, Locke incluso, l'osservazione antropologica (=l'enunciazione dei diritti naturali) era la base della teoria politica. Per i più umili (e interessanti) pamphlettisti come i levellers asserire che gli uomini hanno determinati diritti era necessario al fine di asserire le proprie tesi. Un metodo, dunque, e nulla più: il giusnaturalismo era nient'altro che lo standard del discorso politico dell'epoca.
La scenetta, a pensarci, oggi cambia solo nei contenuti (i diritti pretesi dai radicali del 600 erano più che giustificabili), con i centri sociali che reclamano il loro "diritto" ad avere uno spazio d'aggregazione, studenti che richiedono il "diritto" ad un salario di studio, omosessuali che vogliono il "diritto" ad un matrimonio riconosciuto dallo stato.
Per i liberali, invece, il diritto naturale è la legittima difesa contro l'arbitrarietà del potere. Non solo, nell'appellarsi ad esso risiede l'arma migliore per conseguire il fine politico liberale: la limitazione del potere statale, che in quanto tale danneggia, anche solo esistendo, i nostri diritti.
Un'esigenza, dunque. Ma come provarla? Come possiamo pretendere che i nostri diritti che vogliamo universali e naturali siano più concreti di quelli precedentemente elencati? Come farlo senza cadere in una petizione di principio?
La risposta alla prossima puntanta (quando ne ho voglia, comunque molto presto).

5 commenti:

Abr ha detto...

Insisti, insisto.
ciao, Abr

Anonimo ha detto...

Mi sto pisciando sotto dall'impazienza :)

Anonimo ha detto...

Dai, continua, tifo per te in modo inverecondo! :-)

Orso von Hobantal ha detto...

Se fossi in voi avrei già pensato: "sto qua ha finito le idee e prende tempo" :P

Jinzo ha detto...

Perchè si dovrebbe evitare di cadere in una petizione di principio? Io credo che al contrario ci sia un principio di fondo con cui si dimostra l'esistenza del diritto naturale: la ragione. La natura di cui parlano i giusnaturalisti altro non è che la ragione.